• 27 Luglio 2024
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Adolescenza ti temo

Ragazzi
Riflettiamo sull’importanza di quanto sia necessario aiutare i nostri bambini-ragazzi a pensare e non a subire le idee altrui, a parlare per esprimere i loro pensieri e non solo ad ascoltare brevi e veloci contenuti.

Sono i bambini-ragazzi #chetipocomequando. Perché li iniziano così i discorsi, che siano dialoghi tra pari oppure interrogazioni. Sono gli undicenni, ex bambini decenni e futuri adolescenti dodicenni né carne né pesce. Insomma non è che se la passino proprio bene. Da un lato intravedono il mondo finto-dorato degli adulti e cominciano la corsa verso quella meta. Dall’altro si ributtano con piacere in quello infantile risucchiati dalla bellezza e dalla spensieratezza del gioco e del ilmondogiratuttointornoame.

A volte noi adulti li vogliamo proprio adulti, li coinvolgiamo nelle decisioni familiari e facciamo imparare loro tante di quelle cose che a pensarci bene magari sarebbe meglio mettere un freno. Poi ad intermittenza, forse egoisticamente, li rigettiamo nella bolla delle fiabe dove (in ordine sparso) la luna è bella, il sole è bello, il mare è bello. E sarà bello davvero, stare in quel mondo semplice che è l’infanzia. Tutto facile, tutto perfetto. Ma poi quando vengono improvvisamente rigurgitati da quest’ultima realtà, ancora spaesati e disorientati assistono al bombardamento di extra-super-mega stimoli. Si girano, si agitano, non sanno a chi dare retta e quando fermarsi mentre nel frattempo stimoli visivi, uditivi, olfattivi, gustativi e tattili incalzano nelle loro vite. E la risposta cognitiva è #mi piace. Così, semplice semplice. Perché anche nel loro cervello si è attivata quella funzione da cliccare per esprimere un gradimento che avrebbe bisogno di tante parole con altrettanti significati e svariate sfumature per esplicitare il soddisfacimento e l’appagamento di necessità/bisogni. Ma altre parole non ne hanno e il bagaglio linguistico si dimezza ad una velocità disarmante compromettendo la capacità di comunicazione e di interazione con il mondo. ”Lo so ma non so come dirlo” è la frase che sintetizza meglio questa difficoltà che si trasforma in incapacità e poi in disagio. La lingua ci garantisce di non rimanere socialmente isolati, di esternare personali bisogni e di non restare psicologicamente incastrati in un mondo interiore solitario. Certamente non si può fare di tutta un’erba un fascio e sappiamo bene che ci sono bambini e adolescenti che sanno esprimere i propri pensieri in modo adeguato e che col tempo impareranno a farlo sempre con maggiore consapevolezza. Sono ancora bambini e come è ovvio che sia hanno davanti tutta una vita di esperienze, possibilità e opportunità.

Mamma in Sardegna

Riflettiamo solo sull’importanza di quanto sia necessario aiutarli a pensare e non a subire riflessioni, a parlare per esprimere i loro pensieri e non solo ad ascoltare brevi e veloci contenuti. Sono generazioni abituate ad un click che risolve i problemi. E l’abitudine si trasforma in convinzione che poi a sua volta muta in certezza che la tecnologia stessa sia la soluzione, di tutto. E che soprattutto la velocità con cui essa risolve alcuni dei nostri problemi possa essere estesa a tutto il mondo che ci circonda. Trovare una via di mezzo è sempre più complicato, il qb è una quantità che non basta mai e l’equilibrio una realtà difficile da costruire. Questo vale per gli adolescenti tecnologici ma anche per gli adulti. I primi chiedono e i secondi frenano. I primi biologicamente programmati per pretendere e i secondi progettati per resistere, in un mondo dove tutto è sempre più discutibile, interpretabile e variabile quanto e più del PUN (gioco di parole).

Li vedi che si vestono da piccoli rappers, maglietta larga e lunga che nasconde corpi esili o girovita più abbondanti. Pantaloncini fino al ginocchio anch’essi larghi tanto da assomigliare ad una gonna e le calze, bianche o nere non importa, tirate fino alla caviglia come ai tempi di mia nonna. Poi felpone di vari colori e scarpe da tennis che costano quanto la rata della macchina, quella super accessoriata intendo. Tutto rigorosamente di marca. È la moda che costa, ops conta.

E ondeggiano. Sì, ondeggiano i non più bambini e i non ancora ragazzi quando parlano in posizione statica. Ti fanno venire quasi il mal di mare. Frammentano i loro discorsi con un gesticolare incalzante. Le braccia si spostano su e giù quasi come per scacciare l’assedio di fastidiosi insetti e ad intermittenza si toccano il ciuffo che con una repentina risalita si stacca dal cuoio cappelluto come fosse una rampa per il decollo. Nel frattempo tremano, perché dietro quella spavalderia si nasconde un animo fragile e una personalità ancora tutta da costruire. Sono spesso smarriti perché talvolta i punti di riferimento che hanno sono più disorientanti che determinanti.Cresciamo figlie principesse e figli principi che con fatica si adattano ad un mondo fatto di regole. Sono principi e principesse che col tempo diventano re e regine. Non hanno alcuna intenzione di abdicare, anzi, all’interno delle mura domestiche difendono con le unghie e con i denti quel titolo lentamente acquisito per poi scoprire che di concorrenti-rivali, fuori, ce ne sono tanti. Troppi. E il confronto/scontro diventa un duello sfiancante per loro e per i genitori che vogliono, decidono, credono di dover proteggere i propri figli (prepotenti) da coetanei (altrettanto prepotenti). Sempre che poi non diventi un confronto/scontro tra genitori (prepotenti). Tutto diventa sempre di più: più complicato, più violento, più destabilizzante. Nel mentre i bambini continuano a rimanere fragili e vulnerabili dentro ma arroganti e incontenibili fuori. Privi di strumenti per superare le difficoltà non sanno come affrontare e fronteggiare fallimenti e frustrazioni. E questo scollamento che col tempo emerge sempre di più diventa fonte di ansia, panico, incertezza, disistima finché la voragine interiore si trasforma in disagio profondo. Anche in questo frangente non si può fare di tutta un’erba un fascio. Ci sono genitori equilibrati che con fatica si cimentano e sperimentano i nuovi passaggi della vita dei propri figli con mille domande, tentano mille risposte e poi si pongono altre mille domande, giornalmente. E ci sono bambini che vivono l’adolescenza convulsamente ma senza gravi traumi.

Ricette nel campo dell’educazione non ce ne sono e spesso le risposte che trova un genitore non sono le stesse che trova un altro. Riflettiamo solo sull’importanza delle scelte genitoriali e sulla necessaria consapevolezza che le decisioni degli adulti, la loro presenza (o meno), la costanza e l’esempio sono fonte di ispirazione ed emulazione dei propri figli. E i piccoli rappers  hanno bisogno di stabilità e certezze. Un sacco come direbbero loro.

Piera Anna Mutzu

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