• 29 Marzo 2024
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Ozieri, un successo la video-conferenza del professor Sotgiu sul tema Covid

Prof. Giovanni Sotgiu

Un successo la video-conferenza del professor Sotgiu sul tema Covid organizzata dalla Commissione speciale del Comune di Ozieri. Circa 1300 le persone che hanno seguito il seminario.

OZIERI. Si è tenuta mercoledì 3 marzo nell’aula consiliare la video-conferenza organizzata dalla Commissione speciale Covid del Comune di Ozieri sul tema Coronavirus a cui ha partecipato come relatore il prof. Giovanni Sotgiu, medico-chirurgo e specialista in Malattie infettive e in Statistica Medica.

Il seminario, rivolto principalmente alle giovani generazioni, ha registrato circa 1300 visualizzazioni, dato che conferma la validità dell’iniziativa e la volontà di tante persone ad essere informate sull’emergenza sanitaria e in particolare sul virus che da un anno sta sconvolgendo la vita degli abitanti di tutta la Terra.

Sotto la moderazione del presidente della Commissione Davide Giordano sono intervenuti con un saluto anche il sindaco di Ozieri Marco Murgia, il presidente del Consiglio comunale Gian Luigi Sotgia e il dirigente scolastico dell’Istituto di Istruzione Superiore Antonio Segni di Ozieri Andrea Nieddu. Presenti alla conferenza diversi consiglieri comunali e il rappresentate dei ragazzi dell’IIS Segni Alessio Carta.

Tavolo conferenza

Il professor Sotgiu ha iniziato la video-conferenza spiegando il motivo per cui la Sardegna oggi si trova in fascia bianca. «Ci troviamo in questa zona, ovvero nella classificazione che il Ministero della Salute ha dato alla Regione Sardegna – ha spiegato Sotgiu – , alla luce della ridotta circolazione del virus. Questo significa che pochi soggetti stanno in questo momento storico acquisendo l’infezione, ovvero abbiamo poche persone che trasmettono il virus ad altre persone».

Il professore si è addentrato poi sulle conseguenze della malattia nelle persone che hanno dovuto lottare per sconfiggere l’infezione. «Purtroppo – ha continuato – molti pazienti che hanno superato questa prova, cioè questo duello vita-morte, non si sono ristabiliti completamente, perché questo virus, in una certa percentuale di casi, non porta alla completa guarigione, a un recupero totale di quelle che erano le funzioni antecedenti all’infezione». «Una malattia – ha proseguito – che mette a dura prova e allo stesso tempo può lasciare dei residuati, può lasciare dei problemi clinici che tuttora la medicina sta valutando».

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Proprio per la pericolosità del virus e sul rispetto delle misure di contenimento, il professor Sotgiu si è rivolto ai giovani chiedendo loro più attenzione, un maggior senso di responsabilità. «Voi convivete – ha detto – oltre che con ragazzi e ragazze della vostra età anche con persone adulte, molto spesso alcune di queste hanno anche dei problemi di salute, c’è chi ha il diabete, chi problemi ai reni, respiratori o problemi cardiaci.

Tutte queste persone, alle quali sicuramente voi volete bene e alle quali siete affettivamente molto legati, possono essere a rischio di sviluppare la malattia, a rischio di finire in ospedale, in rianimazione o di morire. Sono quelle persone con le quali giocate, con le quali vi confrontate, con le quali scherzate e che sono fondamentali per la vostra crescita. Queste persone sono etichettate scientificamente come persone vulnerabili, cioè quei soggetti che hanno il rischio, una volta acquisito il virus, di sviluppare la malattia con conseguenze negative».

A queste persone «dobbiamo evitare una inutile sofferenza – ha sottolineato Sotgiu –, dobbiamo capire che certi comportamenti che magari consideriamo innocenti come incontrarsi, abbracciarsi, stringersi la mano, stare insieme per tante ore senza mascherina, possono risultare estremamente pericolosi».

Come agisce il Covid-19.

Il virus entra nel nostro corpo principalmente attraverso le vie respiratorie quindi il naso, la bocca e inizia a replicarsi. Nella stragrande maggioranza delle persone non si sviluppa la malattia, e non determina di solito nessun problema più o meno nel 80% dei casi.

Su 100 persone che acquisiscono il virus, 80 di queste non hanno nessun problema e vengono classificate asintomatiche, ossia senza sintomi. Ma questo non significa che il virus non sia presente nell’organismo, infatti egli si replica e resta comunque presente nel naso, nella bocca e può essere pertanto trasmesso ad altre persone. Quindi, la persona senza sintomi e sana, può essere pericolosa dal punto di vista della contagiosità e della trasmissibilità, perché può trasferire il virus ad altre persone.

Un 20% di persone che lo acquisisce, invece, sviluppa la malattia con un po’ di febbre, mal di gola, raffreddore e tosse, però poi spontaneamente tendono a guarire. Di queste, però, una piccola percentuale sviluppa un’infezione delle basse vie respiratorie, ovvero il virus raggiunge il parenchima polmonare e quindi i polmoni, mettendo in crisi quella che è una delle attività fisiologiche più importanti, ossia la respirazione.

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La conseguenza è che queste persone iniziano a manifestare una serie di problemi clinici e per molte di esse si rende opportuno il ricovero in ospedale. In alcuni casi purtroppo è necessaria la rianimazione e la ventilazione meccanica, specialmente in quei soggetti che hanno grandi difficoltà respiratorie. A volte tutto questo non basta e alcuni che sono particolarmente fragili tendono ad andare incontro a decesso, quindi muoiono. Allo stato attuale, nonostante sia passato un anno, non abbiamo armi terapeutiche capaci di risolvere il problema nel 100% dei casi.

Lo studio su giovani atleti assintomatici.

Il virus, che sembra determinare delle infezioni asintomatiche nei giovani e negli adulti sani, in realtà può causare dei problemi anche nelle persone che una volta acquisita l’infezione non hanno nessun sintomo eclatante.

Alcuni studi che sono stati condotti in diverse parti del mondo, in modo particolare negli Stati Uniti, hanno valutato alcuni atleti intorno ai 20 anni che hanno scoperto casualmente di essere infettati. Sottoposti a valutazione nel tempo, in modo particolare dopo 60 giorni dall’acquisizione dell’infezione, effettuata una risonanza magnetica cardiaca (perché il cuore è uno degli organi bersaglio oltre che il polmone) e delle Tac per valutare la funzionalità dei polmoni, in queste persone sono stati riscontrati problemi cardiaci (il 50%) e problemi di tipo respiratorio, una fibrosi polmonare.

Significa in realtà che il virus, nonostante non abbia dato sintomi così evidenti, ha determinato dei danni in maniera silente. Non parliamo di uno o due casi su 1000, ma di circa il 50-65% a seconda della casistica, quindi, sostanzialmente, uno su due. Purtroppo, l’approfondimento di questi studi ha portato a identificare danni oltre che sul cuore e sul polmone anche a livello renale e cerebrale.

Di fronte a questo spettro di alterazioni è chiaro che la soluzione ideale è quella di non acquisire mai l’infezione. Ridurre la circolazione all’interno di una comunità rappresenta un obbligo di tutti, proprio per evitare individualmente e collettivamente quelle che sono le conseguenze negative di questa infezione.

La variante inglese.

Oggi i virus che stanno circolando a livello globale, e che avete sentito essere etichettate come varianti, sono: inglese, sudafricana, nigeriana, brasiliana, newyorkese, californiana. Perché il virus improvvisamente ha deciso di cambiare? Il virus cambia, e cambia tanto, è per definizione un agente biologico che muta le proprie caratteristiche continuativamente.

Ogni volta che delle particelle virali si replicano nel nostro corpo compiono degli errori, modificano la propria struttura. Spesso queste mutazioni o sono insignificanti, oppure sono vantaggiose per il virus.

Tutti voi avete studiato sicuramente Darwin, il meccanismo evoluzionistico di selezione evoluzionistica, ovvero un organismo tende a sopravvivere e a mantenersi nel tempo nel momento in cui acquisisce delle caratteristiche vantaggiose. Queste varianti non sono altro che tipologie di virus che hanno subito dei cambiamenti (più di uno), e questi cambiamenti sono stati vantaggiosi, sono vantaggiosi per la loro attività replicativa, ovvero sono capaci di svolgere il loro ciclo replicativo in maniera migliore rispetto alle varianti precedenti.

La variante inglese che ha falcidiato il Regno Unito a dicembre 2020 e adesso è diffusa in tutto il mondo, in Italia più del 50% dei casi sono dovuti a questa variante. Quali peculiarità possiede? In Inghilterra dove l’hanno studiata per primi, hanno constatato che ha una contagiosità aumentata del 50-70% rispetto alla precedente.

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L’altro dato che ci preoccupa ulteriormente, accanto alla crescita della contagiosità, è l’aumento della letalità, ossia l’indicatore che noi utilizziamo per definire quanto è cattivo e virulento il virus. Questa variante inglese ha una letalità incrementata del 20-30%, quindi significa che è una variante pessima per noi.

La variante l’inglese inoltre contagia molto facilmente anche bambini e adolescenti. Abbiamo infatti identificato in questi giorni in Italia un numero di positivi più elevato anche nelle fasce più giovani. Questo è un problema in termini di contagiosità, vista la socialità di un adolescente o di un giovane adulto rispetto alla socialità di un anziano, che prevalentemente tende a stare a casa.

I vaccini.

Le varianti sono caratterizzate da un aumento della contagiosità e allo stesso tempo hanno purtroppo una caratteristica terribile, ovvero quella di evadere la risposta del nostro sistema immunitario. La variante sudafricana, quella brasiliana e pare anche la variante nigeriana, hanno la capacità di superare questo sistema di difesa che noi possiamo costruire sia con un’infezione ma anche con i vaccini. In altre parole, queste nuove varianti hanno la capacità di superare l’immunità, di evadere l’immunità, quindi il sistema difensivo determinato da una pregressa infezione o determinato dai vaccini.

Questo è un grosso problema, un enorme problema. Allora quello che dobbiamo fare è continuare a utilizzare la mascherina, mantenere sempre la distanza sociale – un metro, un metro e mezzo, due metri, vista la contagiosità di queste nuove varianti –, lavare continuamente le mani, avere a disposizione il nostro gel da portarci insieme e utilizzarlo ogni qualvolta entriamo al bar, in ristorante, quando ritorniamo a casa, ogni qualvolta ci rendiamo conto di poter avere avuto un contatto non appropriato.

Sotgiu e Carta

A fine conferenza il rappresentante d’Istituto Alessio Carta ha rivolto diverse domande al professore Sotgiu arrivate da alcuni studenti collegati nella diretta.

1. Ha detto e affermato che i giovani sono il principale fattore di trasmissione del virus, quindi la domanda che gli studenti si sono posti è: perché si inizia a vaccinare gli ultraottantenni, quindi la classe più fragile, ma non quella più trasmissibile del virus.

In questo momento abbiamo indicazione, dagli studi che hanno portato all’approvazione, sul fatto che il vaccino induce un’immunità che evita la malattia, in modo particolare la malattia severa, la malattia grave, non sappiamo però se un soggetto vaccinato possa comunque acquisire il virus e trasmetterlo. In questo momento io sono vaccinato, però potenzialmente potrei acquisire il virus (che mi tengo nel mio naso, nella mia bocca nella mia faringe), andare da mio padre, mia madre e trasmetterlo.

In questo momento, dunque, abbiamo bisogno di proteggere le persone più a rischio: gli anziani, gli ultraottantenni, gli ultrasessantacinquenni e quelli che hanno malattie croniche. Abbiamo, quindi, necessità di tutelare queste fasce fragili, poi sarà fondamentale vaccinare anche i giovani.

2. Ha toccato il tema dei vaccini, ha fatto diversi nomi, quindi volevamo sapere qual è la differenza e se questi combattono anche le varianti che si stanno diffondendo?

In questo momento purtroppo la maggior parte delle varianti fino adesso conosciute sembrerebbero possedere la capacità di superare l’immunità indotta dal vaccino, questa ovviamente non è una bella notizia anche se nelle nostre aree è prevalente la variante inglese, che per fortuna risulta essere coperta.

La notizia positiva è che le case farmaceutiche che producono vaccini possono avere la capacità di modificare rapidissimamente la costituzione del vaccino, quindi in un certo senso adattarla alla tipologia di varianti presenti.

Però c’è un problema sostanziale, è chiaro che se io modifico la struttura del vaccino poi però devo vaccinare rapidamente. Più tempo si impiega a vaccinare più favorisco l’emergenza di varianti virali che possono essere resistenti all’immunità indotta dal vaccino. Quindi, quello che è la condizione ideale è fare un lockdown e contestualmente vaccinare tanto per evitare proprio il problema dell’emergenza delle varianti.

Ma non basta. Occorre farlo a livello globale con una politica e una strategia che aiuti a tutelare anche i paesi più poveri che hanno difficoltà ad eseguire le vaccinazioni.

Sulle tipologie di vaccini a disposizione, 4 sono quelli che in questo momento riguardano il nostro mercato, ma in realtà ne abbiamo qualcuno in più, c’è quello cubano, quello russo, il famoso Sputnik, di cui avete sentito parlare, abbiamo anche dei vaccini cinesi.

Per quanto riguarda il vaccino della Pfizer Biontech, questo è un vaccino a RNA messaggero ovvero abbiamo una particella lipidica di grasso all’interno del quale è contenuto l’RNA messaggero che è una piccola molecola che contiene l’informazione per costruire una proteina del virus all’interno del nostro corpo. Quindi, mettendo la proteina all’interno del nostro corpo, stimoliamo il nostro sistema di difesa senza avere i problemi dell’infezione. La stessa tecnologia è stata utilizzata anche per il vaccino Moderna. Il vaccino dell’Oxford Astrazeneca, che invece è stato prodotto in Inghilterra all’Università di Oxford, ha creato un vaccino con caratteristiche un po’ differenti, in quanto l’informazione genetica non è contenuta all’interno di una particella di grasso ma all’interno di un virus, un adenovirus, un virus che può determinare raffreddore, modificato geneticamente che entra nel nostro corpo come vaccino e dà l’informazione genetica per costruire una proteina virale.

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Le differenze sostanziali tra questi vaccini, a parte questi meccanismi generali, sono legate anche alle modalità di conservazione. Il vaccino della Pfizer Biontech necessità per la sua conservazione di temperature molto basse, intorno ai meno 70 gradi, mentre i vaccini dell’Astrazeneca o quello della Johnson & Johnson, che sta per essere prodotto, non hanno il problema della catena del freddo così rilevante come il vaccino della Pfizer Biontech, per cui anche in termini di logistica e di trasporti hanno una serie di vantaggi.

Poi esistono delle differenze che possono essere legate al numero di somministrazione. I primi vaccini che vi ho menzionato e che in questo momento abbiamo, devono essere inoculati con due dosi con un arco temporale tra la prima e la seconda dose che va dai 21 giorni, quindi dalle 3 settimane, alle 12 settimane per il vaccino dell’Astrazeneca.

Il vaccino della Johnson & Johnson autorizzato dagli Stati Uniti ha invece una dose soltanto. Quindi ci sono alcune caratteristiche tecniche che variano sulla sicurezza e la tollerabilità. Dobbiamo dire che tutti i vaccini attualmente a disposizione sono dotati di buona sicurezza e tollerabilità, l’efficacia risulta essere variabile, abbiamo cioè informazioni diverse sull’efficacia che sono funzionali alle fasce di età, questo aspetto va però approfondito con ulteriori studi.

3. Quando si sviluppa l’immunità dopo aver fatto il vaccino? Quando si arriverà alla nota immunizzazione di gregge?

Per quanto riguarda l’immunità, abbiamo indicazione del fatto che a seguito della somministrazione della prima dose di vaccino, dopo circa 10 giorni iniziano a comparire gli anticorpi specifici per la proteina virale. Soprattutto con i vaccini della Pfizer Biontech e di Moderna, per poter avere un vero effetto di immunità che possa avere un certo tipo di durata, abbiamo necessità di eseguire le due dosi.

Tuttora in alcuni paesi come ad esempio l’Inghilterra c’è una discussione, anche in Italia ad esempio in Lombardia, sulla possibilità di dare un’unica dose a tutti al fine di vaccinare il più possibile soggetti.

Personalmente, sulla base di dati scientifici, dico che sono assolutamente in disaccordo. In questo momento i vaccini sono stati autorizzati per quel dosaggio, per quella posologia, per quel tipo di impostazione e l’efficacia è stata dimostrata per quel tipo di indicazione. Se vogliamo cambiare, prima eseguiamo lo studio poi cambiamo. Io non sono contro il cambiamento però sono per una indicazione che segua quella che è l’evidenza scientifica.

Sulla domanda che invece faceva riferimento all’immunità di gregge è un discorso molto complesso. Gli studi e i modelli che sono stati pubblicati sulle più importanti riviste scientifiche dicono che l’immunità di gregge teoricamente può essere raggiunta nel momento in cui più del 90% della popolazione in un determinato contesto geografico è vaccinata. In altre parole significa avere un 90% di vaccinati con un vaccino efficace per quella variante che in quel momento storico sta circolando.

Perché il Covid è così aggressivo? Qual è l’incidenza sui bambini? Gli animali domestici possono contrarre il Covid? I pazienti che guariscono dall’infezione sono immuni oppure no?

Questa serie di domande mi permette di riagganciarmi a un punto che ho sottolineato precedentemente e che è legato al discorso dei vaccini. Il paziente con pregressa infezione dovrebbe essere protetto, questo è quello che la storia delle malattie infettive ci ha insegnato, cioè un virus, un batterio, un fungo è capace di indurre un’immunità specifica per quell’agente biologico, però purtroppo i virus possono cambiare le varianti e quella immunità può non riconoscere più quel virus in quella nuova versione con quella memoria. Questo virus purtroppo ha dimostrato la propria capacità di reinfettare soggetti che hanno avuto una pregressa infezione, quindi reinfezione è un concetto che si associa a un’incapacità del sistema immunitario di rispondere a una nuova challenge, a una nuova infezione.

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In Brasile, in modo particolare, dove è insorta la variante brasiliana tanti soggetti che avevano avuto l’infezione ne hanno sviluppato una nuova. Quindi in realtà il coronavirus per sua caratteristica ha questa tendenza alla reinfezione. I primi casi, già quest’estate, quando soggetti che avevano acquisito l’infezione a marzo hanno sviluppato dei problemi ad agosto e settembre.

Particolare è un caso che è stato descritto nelle riviste scientifiche di un signore inglese nefropatico, quindi con problemi renali, che aveva acquisito l’infezione ad aprile. Un’infezione leggera, molto modesta. Questo paziente costantemente andava in una struttura sanitaria a fare la dialisi, e in questa struttura veniva sottoposto a tampone per controllare la presenza del virus e al prelievo di sangue per controllare la presenza di anticorpi. A novembre l’uomo viene ricoverato d’urgenza per una polmonite bilaterale, quindi tutti e due i polmoni colpiti, in grave crisi respiratoria, gli fanno il tampone, di nuovo Covid, nonostante gli anticorpi gli erano stati identificati fino al giorno prima. Questo significa che il virus può avere la capacità, anche in chi ha gli anticorpi, di superare le difese immunitarie, per questo motivo dobbiamo continuare a mantenere le misure.

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Chi ha avuto la malattia dunque deve continuare a comportarsi in maniera identica a come faceva prima di acquisire l’infezione. In questa fase non possiamo permetterci alcuna libertà in più, né chi è vaccinato né chi ha avuto l’infezione precedentemente, tutti devono avere lo stesso tipo di comportamento.

In questo momento non c’è evidenza che gli animali possono risultare pericolosi, anche se bisogna tener conto del fatto che i virus più di ogni altro agente biologico ha la capacità di eseguire quello che si chiama spillover (salto di specie). Pare che l’origine di questo virus non sia all’interno della specie umana, ma sia derivato da specie animali. In questo momento non abbiamo nessun problema con gli animali però è chiaro che il buon rapporto, il rispetto dell’ambiente inteso a 360°, come rispetto animale, deve essere un qualcosa di fondamentale per evitare che i fenomeni di spillover si possano venire a realizzare a livello globale.

I bambini possono essere infettati? Assolutamente sì, come già detto possono risultare contagiosi e quindi trasmettere il virus ad altre persone. La fortuna principale è che i bambini non hanno un’infezione conclamata grave. Sono stati descritti alcuni casi di forme infiammatorie molto gravi in alcuni bambini, negli Stati Uniti e anche in Italia, però rappresentano una piccolissima percentuale. È chiaro che però abbiamo un punto interrogativo da porre, l’acquisizione di un’infezione asintomatica, senza sintomi, può provocare danni che magari si pagano alla distanza. Questo è un punto interrogativo che sarà da esplorare e valutare nel tempo.

In questi giorni si discute dell’importanza degli screening di massa, è ancora consigliabile questo strumento? Che affidabilità hanno i tamponi rapidi?

Lo screening di massa sulla popolazione rappresenta una strategia adottata nella nostra regione in alcune aree geografiche per valutare il numero dei soggetti positivi attraverso uno strumento utile, scientificamente approvato quali sono i test screening. C’è da dire che il test antigenico rapido non è il gold standard (l’esame diagnostico più accurato per confermare un dubbio diagnostico), perché quello ideale è il test molecolare basato non solo sulla ricerca dell’antigene.

Il test molecolare a sua volta non è di per sé un test perfetto perché ha una sensibilità del 75% circa, questo lo sappiamo dall’inizio dell’epidemia. Quindi significa che alcuni soggetti che sono infettati dal virus possono risultare negativi, cioè falsi negativi.

In questo momento quindi non abbiamo un test perfetto capace di identificare tutti i malati come malati, cioè tutti gli infettati come infettati, e tutti i non infettati come non infettati.

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Per quanto riguarda il test antigenico rapido, questo non è utilizzato in maniera sistematica per le diagnosi definitive, perché ha delle limitazioni. Però ha il vantaggio di essere un test rapido e quindi in un certo senso può essere utilizzato come primo filtro per identificare un soggetto che può essere potenzialmente positivo.

Nell’ambito di un processo di valutazione noi eseguiamo infatti prima il test antigenico, poi il test molecolare. Come avete avuto modo tutti di leggere sui giornali locali i soggetti che sono risultati positivi nella campagna di screening sono stati poi sottoposti a conferma con test molecolare al fine di valutare se la positività al test antigenico rapido era una positività vera. Fare lo screening può essere un qualcosa di utile con a disposizione un test diagnostico di buon valore, però è chiaro che una negatività al test di screening non significa che la persona è immune al virus.

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