Condanna card. Becciu, il Vescovo di Ozieri scrive al Presbiterio e alla Diocesi
Mons. Melis: «Posso solo chiedervi, proprio come un padre di famiglia, quella stessa carità che in questi anni pesanti ho visto molto blanda da parte di certe istituzioni e amici, ma che ho fin da subito percepito in voi come vostro caro, fraterno e delicato senso di sincera attenzione nei miei confronti e della chiesa diocesana in generale».
OZIERI. Pubblichiamo la lettera del vescovo di Ozieri Corrado Melis indirizzata al presbiterio e alla Diocesi, in occasione della sentenza di primo grado del Tribunale Vaticano che ha condannato a 5 anni e sei mesi il cardinale Angelo Becciu con interdizione perpetua dai pubblici uffici. Il processo vedeva Becciu imputato nell’ambito della compravendita del Palazzo di Sloane Avenue a Londra, dei soldi dati alla diocesi di Ozieri per iniziative caritative e per il caso legato al rapimento di una suora colombiana a Mali.
«Cari fratelli e amici, sento con immensa sofferenza di non essere solo a provare amarezza e disorientamento dopo la sentenza comminata al caro don Angelino. Percepisco la vostra fatica, i vostri interrogativi e il groviglio di sentimenti che abitano il vostro cuore. Vi posso confessare che non sono molto distanti dai miei.
Mi ritrovo ad essere padre ma senza un tozzo di pane da portare a casa. Mi chiedo cosa è stato, cosa siamo e cosa saremo. Convivono in queste ore la consapevolezza di sentirmi amato dalla Chiesa e il frastuono di tante domande sguaiate che cercano pace. Se non altro per avere una risposta da dare o un cammino da affrontare assieme. Sono veramente in difficoltà e con estrema umiltà mi metto a nudo confessandovi: non capisco!
Potrei aggiustarmi con frasi di circostanza o schemi di retorica ecclesiastica ben consolidati come: è l’ora delle tenebre; la fede porterà conforto; prima o poi ritornerà il sereno. Potrei anche esibire la Parola di Dio. Ma, credetemi, sono proprio esterrefatto e ammutolito da una tale durezza.
Posso solo chiedervi, proprio come un padre di famiglia, quella stessa carità che in questi anni pesanti ho visto molto blanda da parte di certe istituzioni e amici, ma che ho fin da subito percepito in voi come vostro caro, fraterno e delicato senso di sincera attenzione nei miei confronti e della chiesa diocesana in generale. Siamo una bella famiglia presbiterale e una meravigliosa diocesi e mi pesa tantissimo anche solo la possibilità che il dolore possa aggredirci. E io, impotente, a cercare di raccogliere energie nella preghiera, nelle amicizie, nel ministero, proprio per poterle poi condividere con voi. È un gran deserto, amaro e minaccioso, quello che vivo interiormente.
Siamo, poi, alla vigilia delle feste natalizie, con vetrine che sberluccicano e clima di rilassamento, gioia e pace. E invece credo che lo Spirito Santo non ci faccia mancare di vivere per quest’anno l’esperienza di un gelido e anonimo presepe, quello del nostro cuore rattrappito e chiuso nei suoi “perché”. Sarà per me e per molti di voi – figuriamoci per il caro cardinale e la sua famiglia – un Natale segnato esattamente da una grande spogliazione, da un grande svuotamento e risucchiato dal disordine interiore, dove vibrano confuse le domande e si moltiplicano le paure per la minacciosità del futuro.
Certamente avremmo preferito un Natale diverso, ma pare che il Dio delle sorprese sia sempre nel laboratorio del vasaio a ricreare e reinventare cose che iniziano, ossa che risorgono, steppe che fioriscono. È un tempo che possiamo rendere pieno e sensato solo se la famiglia cammina insieme e desidera rinascere insieme.
Questo mi sento di condividere con cuore di padre e di fratello: non lasciamo che il male disgreghi questa nostra preziosa esperienza evangelica di famiglia. Curiamo i legami personali e il nostro rapporto col Vangelo. Sentiamoci amati dalla Chiesa che in qualche modo fa la fatica di manifestare la misericordia di Dio. Facciamo il tifo per la verità e la sua fedelissima promessa di felicità. Cerchiamo di capire, ma senza ossessionarci dall’ansia di dover dare risposte a chi ci chiede ragione della speranza: arriverà il momento, allora potremo gridare! Esercitiamo il nostro cuore alla virtù della mitezza: restiamo fermi sulla certezza della bontà della nostra coscienza, ma facciamolo con delicatezza, senza aggiungere strappi o studiare scorciatoie per svignarsela. Gareggiamo nello stimarci a vicenda, perché c’è dell’oro tra di noi che può anche rimarginare le ferite dei cocci rotti. E, per favore: vagliamo ogni cosa, teniamo ciò che è buono e soprattutto mettiamoci alla ricerca delle profezie che piano piano faranno capolino per indicarci almeno una strada da prendere in questo deserto.
Al caro don Angelino ricordo una frase cara a Charles de Foucauld “la croce è il pane quotidiano delle anime fedeli”.
Grazie di cuore hai tanti attestati di affetto e di amicizia che in queste ore mi sono giunti per la diocesi».
Con affetto immenso vi saluto.
Don Corrado, padre, fratello e vescovo
Comunicato del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano del 16 dicembre 2023
Con la sentenza emessa oggi, dopo 86 udienze, il Tribunale ha definito il giudizio di primo grado del processo a carico di dieci imputati e quattro società, che – come è noto – aveva ad oggetto plurime vicende (distinte, pur se con profili di connessione oggettiva e soggettiva), la principale delle quali è nota con riferimento al palazzo sito in Londra, 60 Sloane Avenue.
In ordine a questa, il Tribunale ha ritenuto sussistente il reato di peculato (art. 168 c.p.) in ordine all’uso illecito, perché in violazione delle disposizioni sull’amministrazione dei beni ecclesiastici (ed in particolare del canone 1284 C.I.C.), della somma di 200.500.000 dollari USA, pari a circa un terzo delle disponibilità all’epoca della Segreteria di Stato. Detta somma è stata versata tra il 2013 e il 2014, su disposizione dell’allora Sostituto mons. Giovanni Angelo Becciu, per la sottoscrizione di quote di Athena Capital Commodities, un hedge fund, riferibile al dr. Raffaele Mincione, con caratteristiche altamente speculative e che comportavano per l’investitore un forte rischio sul capitale senza possibilità alcuna di controllo della gestione.
Il Tribunale ha quindi ritenuto colpevoli del reato di peculato mons. Becciu e Raffaele Mincione, che era stato in relazione diretta con la Segreteria di Stato per ottenere il versamento del denaro anche senza che si fossero verificate le condizioni previste, nonché, in concorso con loro, Fabrizio Tirabassi, dipendente dell’Ufficio Amministrazione, ed Enrico Crasso.
Quanto all’utilizzo successivo della detta somma, servita – fra l’altro – per l’acquisto della società proprietaria del palazzo di Sloane Avenue e per numerosi investimenti mobiliari, il Tribunale ha ritenuto Raffaele Mincione colpevole del reato di autoriciclaggio (articolo 421-bis c. p.).
Ha invece escluso la responsabilità di mons. Becciu, Crasso Enrico e Tirabassi Fabrizio in ordine agli altri reati di peculato loro contestati perché il fatto non sussiste, non avendo più la Segreteria di Stato la disponibilità del denaro una volta che esso era stato versato per sottoscrivere le quote del fondo.
È stata dichiarata poi la colpevolezza di Enrico Crasso per il reato di autoriciclaggio (art. 421-bis c.p.) in relazione all’utilizzo di una ingente somma di oltre 1 milione di euro, costituente il profitto del reato di corruzione tra privati commesso in concorso con Mincione.
In relazione invece al riacquisto da parte della Segreteria di Stato, nel 2018-2019, attraverso una complessa operazione finanziaria, delle società cui faceva capo la proprietà del palazzo già citato, il Tribunale ha ritenuto la colpevolezza di Torzi Gianluigi e Squillace Nicola per il reato di truffa aggravata (art. 413 c.p.) e del citato Torzi anche per il reato di estorsione in concorso con Tirabassi Fabrizio (art. 409 c.p.), nonché per il reato di autoriciclaggio di quanto illecitamente ottenuto.
Il Torzi, il Tirabassi, il Crasso e il Mincione sono stati invece assolti perché il fatto non sussiste dal reato di peculato loro ascritto in relazione all’ipotizzata sopravvalutazione del prezzo di vendita.
Il Tirabassi è stato, inoltre, ritenuto colpevole del reato di autoriciclaggio (articolo 421-bis c.p.) in relazione alla detenzione della somma di oltre 1.500.000 USD a lui corrisposta – fra il 2004 e il 2009 – dall’UBS; il Tribunale ha infatti ritenuto che la ricezione di tale somma da parte dell’imputato integrasse il reato di corruzione in ordine al quale però, dato il tempo trascorso, l’azione penale è ormai prescritta.
Quanto a Tommaso Di Ruzza e Renè Brulhart, rispettivamente Direttore Generale e Presidente dell’A.I.F. (Autorità di Informazione Finanziaria), intervenuti nella fase finale del riacquisto del Palazzo di Sloane Avenue, essi sono stati assolti dei reati di abuso di ufficio loro contestati e ritenuti colpevoli solo dei delitti di cui agli articoli 178 e 180 c.p. per omessa denuncia e per la mancata segnalazione al Promotore di giustizia di un’operazione sospetta.
Infine, con riferimento ad altri due temi di indagine oggetto del giudizio, mons. Becciu e Marogna Cecilia sono stati ritenuti colpevoli, in concorso, del reato di cui all’art. 416-ter c.p. in relazione al versamento, da parte della Segreteria di Stato, di somme per un totale di oltre 570.000 euro a favore della Marogna, tramite una società a lei riferibile, con la motivazione, non corrispondente al vero, che il denaro doveva essere utilizzato per favorire la liberazione di una suora, vittima di un sequestro di persona in Africa.
Mons. Becciu è stato altresì ritenuto colpevole di peculato (art. 168 c.p.) per aver disposto, in due riprese, su un conto intestato alla Caritas-Diocesi di Ozieri, il versamento della somma complessiva di Euro 125.000 destinata in realtà alla cooperativa SPES, di cui era presidente il fratello Becciu Antonino. Pur essendo di per sé lecito lo scopo finale delle somme, il Collegio ha ritenuto che l’erogazione di fondi della Segreteria di Stato abbia costituito, nel caso di specie, un uso illecito degli stessi, integrante il delitto di peculato, in relazione alla violazione dell’art. 176 c.p., che sanziona l’interesse privato in atti di ufficio, anche tramite interposta persona, in coerenza – del resto – con quanto previsto dal canone 1298 C.I.C. che vieta l’alienazione di beni pubblici ecclesiastici ai parenti entro il quarto grado.
I sopranominati imputati Mincione Raffaele, Torzi Gianluigi, Tirabassi Fabrizio, Becciu Giovanni Angelo, Squillace Nicola, Crasso Enrico, Di Ruzza Tommaso e Brulhart Renè sono invece stati assolti, con le formule specificate nel dispositivo, da tutti gli altri reati loro ascritti. Parimenti, mons. Mauro Carlino è stato assolto da tutti i reati a lui contestati.
Conclusivamente, ritenuta la continuazione tra i reati contestati ad ognuno degli imputati, gli stessi sono stati condannati, rispettivamente:
BRUHLART René e DI RUZZA Tommaso alla pena della multa di euro millesettecentocinquanta;
CRASSO Enrico alla pena di anni sette di reclusione ed euro diecimila di multa con interdizione perpetua dai pubblici uffici;
MINCIONE Raffaele alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione, euro ottomila di multa con interdizione perpetua dai pubblici uffici;
BECCIU Giovanni Angelo alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione, euro ottomila di multa con interdizione perpetua dai pubblici uffici;
TIRABASSI Fabrizio alla pena di anni sette e mesi sei di reclusione, euro diecimila di multa con interdizione perpetua dai pubblici uffici;
SQUILLACE Nicola, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla pena – sospesa – di anni uno e mesi dieci di reclusione;
TORZI Gianluigi alla pena di anni sei di reclusione ed euro seimila di multa, alla interdizione perpetua dai pubblici uffici e alla sottoposizione alla vigilanza speciale per un anno;
MAROGNA Cecilia alla pena di anni tre e mesi nove di reclusione con interdizione temporanea dai pubblici uffici per uguale periodo;
LOGSIC HUMANITARNE DEJAVNOSTI D.O.O. alla sanzione pecuniaria di euro quarantamila ed al divieto di contrattare con le autorità pubbliche per anni due;
Inoltre, il Tribunale ha ordinato la confisca per equivalente delle somme costituenti corpo dei reati contestati per oltre 166.000.000 di euro complessivi.
Gli imputati sono stati infine condannati, in solido tra loro, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, liquidati complessivamente in oltre 200.000.000 di euro.
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