• 2 Novembre 2025
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Il Redentore di Nuoro: “Su contu de su brunzu de Jerace” di Franco Stefano Ruiu

Franco Stefano Ruiu
In un incontro allo Spazio Ibis ripercorsa la storia della statua di Cristo installata sul Monte Ortobene nel 1901.

NUORO | 2 novembre 2025. Nello spazio Ibis di Nuoro si è tenuto un nuovo incontro all’insegna della cultura. Ha aperto la serata Lisetta Bidoni, presentando un eclettico nuorese di Corte ’e Susu, Franco Stefano Ruiu — collaboratore di Radio Barbagia, etnografo e fotografo-documentarista — e il suo Su contu de su brunzu de Jerace.

Ruiu, dopo aver sottolineato di aver attinto gran parte de Su contu dal libro dello storico Elettrio Corda e da Nicola Porcu, memoria storica di Nuoro, ha esordito parlando di una strana malattia di cui soffre da tempo: la Redentite.

Per comprenderla meglio, è stato necessario ascoltare il suo racconto… Siamo nel 1899. Nuoro non è ancora una città: conta 7.260 anime che vivono in condizioni di grande difficoltà lavorativa, economica e sociale.
Il vescovo De Martis, in vista del  Giubileo dell’anno successivo e accogliendo il desiderio di papa Leone XIII di lasciare in ogni regione italiana un ricordo dell’evento, coltiva un sogno.
Con l’aiuto di un amico, contatta lo scultore calabrese Vincenzo Jerace, che vive e lavora a Napoli, e gli chiede di realizzare una statua raffigurante Cristo Redentore.

Statua del Redentore Nuoro
Statua del Redentore di Nuoro (foto di Rosanna C.)

Vincenzo e la moglie Luisa attraversano un periodo difficile: hanno appena perso la loro figlioletta e lei è gravemente malata. Quando leggono la richiesta del vescovo di una città dell’entroterra sardo, di cui non conoscono né luoghi né persone, vengono investiti dal sogno del prelato, che diventa anche il loro.

Jerace risponde che lavorerà senza pretendere compenso, chiedendo solo il rimborso del materiale, il pagamento delle maestranze e il trasporto della scultura. Il totale ammonta a 14.671 lire, una cifra enorme per l’epoca.
Franco Stefano enumera le somme che il vescovo, insieme a persone abbienti e meno abbienti di Nuoro, mise a disposizione, comprese le 50 lire donate dallo stesso artista. Racconta poi numerosi aneddoti su personaggi nuoresi — artisti, poeti, intellettuali, massoni e anche povera gente, come tziu Codiannantu.

Jerace, dapprima, invia a Nuoro un bozzetto in creta raffigurante la futura opera in bronzo: il vescovo e tutti coloro che hanno modo di ammirarlo restano senza parole.
«Ite at a èssere sa bera, si custa est goi bella!» è il pensiero di chi ha la fortuna di vedere il bozzetto.

Nell’aprile del 1901 l’opera — composta da diversi pezzi da saldare in loco — è pronta per la fusione. Intanto Luisa Jerace muore, e con lei muore anche una parte del sogno di Vincenzo. Ma la statua è pronta, e per agosto è prevista l’inaugurazione.
Il vescovo, però, non ha ancora raccolto la somma necessaria per saldare il debito con lo scultore. Chiede aiuto al Comune di Nuoro, ma il consiglio comunale, riunitosi, respinge la richiesta. E Franco Stefano racconta fatti sorprendenti che lasciano il pubblico a bocca aperta.

Sarà Grazia Deledda, che in quel periodo vive a Cagliari, ad attivarsi: si reca nella sede dell’Unione Sarda per proporre una sottoscrizione popolare, invitando le donne sarde a inviare ciascuna un oggetto. La lotteria ha un successo insperato e raccoglie 1.200 lire.

La statua arriva a Cagliari a Ferragosto del 1901, e l’inaugurazione si tiene a Nuoro il 29 agosto.
Il popolo nuorese — e non solo — sale in cima al monte Ortobene: si contano oltre 10.000 persone.
Manca Vincenzo Jerace, che non può essere presente.
La statua è coperta da teli, e qualcuno malignamente sussurra: «Roba chi no est cosa de bìere…».
Ma quando i teli vengono rimossi…

Mentre Franco Stefano racconta con trasporto e profonda passione, ho immaginato lo stupore degli astanti di allora, e mi è venuto in mente Pigmalione, lo scultore greco dell’isola di Cipro, che, estasiato dalla propria opera, finì per innamorarsene.

I presenti nella sala dell’Ibis abbiamo compreso, alla fine de su contu, i sintomi della Redentite, i quasi tormenti che Franco Stefano sente dentro di sé, quasi un debito morale, la vergogna che prova per l’irriconoscenza dei nuoresi verso l’artista che, senza pretendere compenso, ha donato a Nuoro un’opera d’arte imponente e importante, capace di conquistare non solo i credenti ma anche gli atei, e di cui tutti i nuoresi sono orgogliosi.
E lui, da anni — sanu o malàdiu — sale al Redentore con una rosa per Luisa, quella rosa che Vincenzo aveva chiesto fosse deposta sulla lapide, posizionata vicino alla statua, della sua amata moglie.

La statua del Redentore, da oltre un secolo, veglia su Nuoro e dona a chi la guarda la sensazione che sia in procinto di scendere dalla roccia sulla quale poggia per portare amore, solidarietà e vicinanza ai nuoresi.

Con la speranza che l’encomiabile lavoro di ricerca svolto da Franco Stefano Ruiu, nato come segno di riconoscenza, diventi presto un bel libro, scritto nelle due lingue — sardo e italiano — e che tutti i nuoresi lo leggano e ne traggano le dovute riflessioni, ringrazio il nuorese di Corte ’e Susu per il suo impareggiabile lavoro e per la sua grande umanità.

Erano le otto quando l’incontro si è concluso.
Il cielo era scuro, ma le stelle luminose illuminavano piazza Satta.
Siamo usciti tutti… malati di Redentite.

Maria Antonietta Mula

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