Coldiretti Sardegna: «I dazi al 30% fanno paura, ma il panico può fare più danni»

«La Regione convochi subito tavolo con filiera pecorino romano per assumere decisioni unitarie a tutti i livelli. le armi a disposizione ci sono come il pegno rotativo e bandi indigenti».
CAGLIARI | 13 luglio 2025. «I dazi fanno paura, ma generare panico rischia di essere ancora più pericoloso. Bisogna mantenere la lucidità e non lasciarsi travolgere da allarmismi che potrebbero aggravare le conseguenze economiche per il comparto agroalimentare isolano». Inoltre «serve un’analisi attenta, stringere le maglie della filiera per costruire soluzioni unitarie e condivise». Anche perché la Sardegna ha dalla sua «armi a disposizione come Pegno rotativo per stoccare le merci o il bando indigenti, ma servono decisioni unitarie per rimetterle in campo, ciascuno facendo la propria parte». È quanto sostiene Coldiretti Sardegna, di fronte all’annuncio del presidente Trump di imposte al 30% sulle merci europee, misura ventilata con decorrenza dal 1° agosto.
«Oggi serve unità ed evitare reazioni emotive – sottolineano il presidente e il direttore di Coldiretti Sardegna, Battista Cualbu e Luca Saba – è necessario che la Regione convochi con urgenza un tavolo tecnico che riunisca la filiera del Pecorino Romano, il mondo bancario e le associazioni di categoria. Serve unità nelle strategie e nelle decisioni per affrontare questa sfida, evitando che la preoccupazione si trasformi in una pericolosa corsa al ribasso. Le armi a disposizione ci sono ma vanno preparate e condivise da tutti poiché ognuno faccia la sua parte in base alle proprie competenze».
Secondo Coldiretti Sardegna «l’impatto di un dazio al 30%, sommato al cambio attuale euro/dollaro, rischia di tradursi in un aumento dei listini che va anche oltre il 40%, un meccanismo – spiegano Saba e Cualbu – che potrebbe indurre parte degli operatori, nella logica di non perdere spazi di mercato, a sacrificare il prezzo del prodotto, con conseguenze gravi per tutta la catena produttiva, a partire dai pastori». Ecco perché «dobbiamo impedire che si inneschi un meccanismo psicologico dannoso, dove il timore di perdere vendite spinga ad abbassare i prezzi alla fonte, sarebbe un danno – spiegano Saba e Cualbu – per l’intera economia regionale, ma anche per quella americana: il Pecorino Romano oggi non ha surrogati immediati negli USA, e rappresenta una filiera ben radicata anche sul versante import-export degli Stati Uniti».
Per Coldiretti, in questo clima, si può guardare con efficacia ad alcuni strumenti già testati. «Il pegno rotativo può rappresentare una chiave per gestire il momento critico, una soluzione che consente di ottenere liquidità lasciando il prodotto in stoccaggio, senza immetterlo sul mercato. Un meccanismo che, con il supporto congiunto di Regione, sistema bancario e imprese, può evitare il crollo dei listini e garantire stabilità alla filiera». Ma ci sono anche altri strumenti già sperimentati in passato, come i bandi per gli indigenti, che avevano permesso di alleggerire le scorte nei periodi di crisi, sostenendo allo stesso tempo il tessuto sociale più fragile. «In questa fase – sottolinea Coldiretti – occorre avere visione strategica, ma anche memoria istituzionale. Le soluzioni ci sono, serve la volontà politica per attuarle con tempismo».
La Sardegna è il maggior produttore di Pecorino romano con il 95% della lavorazione concentrata nell’isola. Nel 2023 il settore ha generato un totale di circa 500 milioni di euro con un valore delle esportazioni di 150 milioni di euro e il mercato Usa il principale target di riferimento.
L’imposizione dei dazi, se confermata, sarebbe comunque un colpo durissimo all’agroalimentare italiano e sardo, come rimarcato da Coldiretti nazionale. Un danno diretto alle imprese agricole, che ogni giorno costruiscono valore, occupazione e qualità, ma anche ai consumatori americani, che si vedrebbero costretti a rinunciare a prodotti autentici o a pagarli molto di più. Si alimenterebbe così il già diffuso fenomeno dell’Italian sounding, che danneggia le nostre produzioni, impoverisce i mercati e inganna i consumatori. In un momento di forte tensione globale, con le grandi potenze che rafforzano le proprie filiere interne e investono in sovranità alimentare, colpire l’agricoltura europea significa minare uno dei pilastri dell’economia reale.
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