• 20 Aprile 2024
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In Sardegna attive nel digitale quasi 1.800 imprese artigiane

Impresa digitale artigianale sarda

Fabio Mereu (vice presidente Confartigianato Sardegna con delega all’innovazione): «Settore dinamico ma pesa ancora troppo il gap delle competenze all’interno delle aziende sarde. Lavorare per cancellare il divario di conoscenze».


Dalla produzione di software ai servizi informatici, dalla creazione di portali web fino all’elaborazione dati: sono ben 1.756 le imprese artigiane sarde attive nei servizi digitali e sono pronte a fornire servizi e supporti innovativi a tutta l’economia regionale.

È questo ciò che emerge dall’analisi dell’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese Sardegna sulla “Transizione digitale delle PMI in Sardegna”, che ha rielaborato i dati Istat del 2021.

Un settore caratterizzato da una forte impronta artigiana: con un numero pari a 3.850 addetti, pari al 91,3% di quelli totali della filiera digitale regionale, la Sardegna è dodicesima in Italia per incidenza di occupazione artigiana sul totale. In Italia le imprese artigiane dei servizi digitali sono 88.570, quasi 236 mila gli addetti (il 54,9% del totale).

Tra le province, Cagliari conta 783 imprese artigiane con 1.932 addetti, Sassari 540 con 1.046 dipendenti, il Sud Sardegna 196 con 343 lavoratori e Nuoro 130 e 278 addetti. Chiude Oristano con 107 attività con 251 dipendenti. Da sottolineare che il Sud Sardegna, Oristano e Nuoro, sono le aree in cui la totalità degli addetti del comparto è impiegato nelle imprese artigiane.

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La domanda legata a questa filiera sta trainando la ripresa del settore dei servizi a livello nazionale: nel primo trimestre 2021 la produzione di software e consulenza informatica registra ricavi in salita del 10,7% rispetto al pre-Covid-19, mentre le attività dei servizi d’informazione e altri servizi informatici del +2,8%. Nel complesso, al primo trimestre 2021, su base annua, il fatturato delle imprese dei servizi digitali è pari a 55,3 miliardi di euro.

“In Sardegna, forse più che in altre regioni, sta crescendo la propensione delle imprese a investire – commenta Fabio Mereu, vicepresidente Regionale di Confartigianato Imprese Sardegna con delega all’Innovazione – tutto ciò è sostenuto, in larga parte, anche dagli incentivi statali per la trasformazione digitale e l’adozione di tecnologie 4.0, e favorito dai bandi promossi anche nella nostra regione”.

Una conferma della crescente propensione alla digitalizzazione delle imprese di minore dimensione proviene dal rapporto dell’Ocse SME and Entrepreneurship Outlook 2021 pubblicato nei giorni scorsi, in cui si evidenzia la stretta correlazione tra il grado di restrizione per limitare l’estendersi della pandemia da Covid-19 e l’aumento del livello di digitalizzazione delle imprese. In particolare, l’Italia presenta, tra i paesi dell’Unione europea, la più alta quota di micro, piccole e medie imprese (MPMI) che nel 2020 ha aumentato il proprio livello di digitalizzazione: nel dettaglio l’Italia presenta la più elevata intensità delle restrizioni e in parallelo presenta più della metà (51,2%) delle MPMI che ha aumentato il grado di digitalizzazione, davanti alla Spagna (49,0%), alla Francia (43,4%) e alla Germania (31,4%).

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Però un limite allo sviluppo digitale delle imprese sarde è dato dall’ancora insufficiente livello di competenze proprio all’interno delle realtà produttive. “Questa crisi economica collegata alla pandemia ha accelerato i fenomeni di digitalizzazione da parte di tutte le imprese, incluse le micro e piccole, che hanno pressoché raddoppiato il loro tasso di adozione delle tecnologie digitali – sottolinea Mereu –  però il vincolo principale alla trasformazione digitale è rappresentato dalla mancanza di competenze proprio all’interno dell’impresa, sia per quanto riguarda gli imprenditori che per quanto riguarda il capitale umano.

«Lo “skill gap” delle MPI sarde, come quelle del resto d’Italia – continua –, rappresenta una criticità di lunga durata e un freno alla loro competitività. Su questo dobbiamo lavorare, su questo dobbiamo intervenire e su questo le Istituzioni devono puntare. Cancellare il divario interno è diventato uno degli obiettivi primari”.

Anche il Governo ha compreso come il digitale non rappresenti più semplice opzione ma una vera e propria necessità. Infatti, per tutte le imprese italiane, e quindi anche per quelle della Sardegna, una spinta importante alla digitalizzazione potrebbe arrivare dal Recovery Fund, i fondi che l’Europa metterà a disposizione per la rinascita dell’Italia.

“Questa del Recovery Fund è un’occasione che la nostra Isola non può lasciarsi sfuggire – prosegue il VicePresidente – per questo auspichiamo che anche da noi possa arrivare una cospicua fetta di finanziamenti che servirebbero a concludere il progetto della Banda Ultra Larga, ridurre al massimo i costi di transazione della trasformazione digitale e incentivare all’acquisto di soluzioni tecnologiche adeguate che portino un reale sviluppo digitale delle imprese”. “Nessuno può, infatti, dimenticare come, durante la fase acuta dell’emergenza Coronavirus, tante aziende sarde siano state costrette a chiudere improvvisamente, senza una data certa di riapertura – conclude Mereu – molte realtà hanno potuto continuare ad operare grazie a strumenti e soluzioni digitali, come lo smart working, ma anche l’e-commerce”.

A livello nazionale, l’attuale fase di ripresa è sostenuta dagli investimenti collegati alla transizione digitale, a cui contribuisce in modo significativo il dinamismo della domanda generata dalle micro e piccole imprese. L’analisi del fatturato dei servizi rilevato nell’indagine trimestrale dell’Istat evidenzia che nel primo trimestre del 2021 il totale dei servizi registra ricavi inferiori del 5,7% rispetto al livello precedente allo scoppio dell’emergenza sanitaria del primo trimestre 2019. Al forte ritardo dei comparti maggiormente influenzati dalle restrizioni alla mobilità delle persone e dal calo del turismo, si contrappone l’incremento della domanda di servizi digitali e legati all’e-commerce.

Nel dettaglio, i servizi postali e attività di corriere superano del 24,3% i livelli pre-crisi: si tratta di attività di ‘ultimo miglio’ delle consegne che seguono – anche se con una minore intensità – il boom di vendite di e-commerce. La produzione di software e consulenza informatica registra ricavi in salita del 10,7% rispetto al pre-Covid-19 e le attività dei servizi d’informazione e altri servizi informatici del +2,8%, determinando una crescita complessiva del 9,2% in questi due settori dell’Ict.

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L’esame dei dati sul commercio al dettaglio evidenzia che Nei primi cinque mesi del 2021 le vendite per l’informatica, la telefonia e le telecomunicazioni superano del 18,5% il livello dello stesso periodo del 2019, tipologia merceologica che con utensileria per la casa e ferramenta (+10,3%) ed elettrodomestici, radio, registratori e televisori (+2,9%) sono i comparti no food a superare i livelli pre-crisi. Nel complesso le vendite al dettaglio totali sono sotto dell’1,8% e quelle non alimentari registrano un calo del 7,3%, appesantite dalla caduta del 24,8% registrato dai prodotti della moda.

La digitalizzazione ha però permesso negli ultimi anni di sostenere il boom dell’e-commerce, che nel 2020 ha registrato una ulteriore accelerazione a seguito del crollo delle vendite nei canali distributivi tradizionali conseguente alla pandemia:  le vendite online nei primi cinque mesi del 2021 crescono del 27,8% su base annua e superano del 60,9% il livello registrato nello stesso periodo del 2019.

Alla crescita dell’e-commerce hanno partecipato anche le piccole imprese italiane che hanno utilizzato questo canale per sostenere le vendite durante il lockdown e i periodi di restrizione alla mobilità. Come evidenziato in un nostro precedente report, con l’emergenza Covid-19 sono raddoppiate rispetto a prima della crisi sia le MPI che fanno vendite di e-commerce tramite il proprio sito web sia quelle che vendono in Rete mediante comunicazioni dirette come e-mail, moduli online e social network.

Le piccole imprese che utilizzano servizi cloud in Unione europea sono passate dal 21% del 2019 al 33% del 2020, mentre in Italia, come anticipato da una nostra analisi, la crescita è stata più tumultuosa, con una quota che è triplicata, passando dal 20% al 58%.

Ramagraf

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